E' mattina e c'è vento, del resto siamo la fabbrica del vento; fa un caldo anomalo e non mi piace. Mi concedo un veloce caffè a Chiomonte, epicentro della strenua lotta dei No Tav, e subito mi assale il solito senso di impotenza che mi chiude lo stomaco: un po' mi vergogno perché io no, tutto quel coraggio di dare battaglia non ce l'ho, eppure amo anch'io questa valle e le sue ferite, sempre più profonde e temo sempre più insanabili e rivedo gli sguardi dei miei amici, velati da una leggera delusione perché in fondo, mi arrabbio troppo poco per tutto quello che capita e che riguarda anche me. Guardo lontano e vedo possibili scenari futuri: il movimento di milioni di tonnellate di terra che dalle viscere della montagna vengono tirate fuori e accumulate un po' più a valle, proprio sotto il posto dove io ho scelto di vivere, e penso che io, quei quindici milioni di tonnellate proprio non riesco a immaginarli, e non posso non avere timore per ciò che può esserci là dentro. E poi penso alle "mie" pecore, alla lana, che mi permette di avere un progetto, di filiera cortissima, che mi fa alzare tutte le mattine e con me tutti gli amici allevatori di questa valle che incominciano a fidarsi di me e del mio sogno e sento che la mia paura è anche la loro, perché è legittimo avere paura... non c'è niente di male nella paura di perdere ciò che si è costruito con fatica.
Ricaccio il groppo in gola e riprendo il viaggio verso Vazon, una frazione di Oulx. Salgo a fatica su un sentiero pasticciato di ghiaccio e fango: almeno non facesse così caldo! Mi soffermo a guardare gli olivelli spinosi e gli ellebori in fiore e penso ai disperati esperimenti da strega tintora e mi viene da ridere quando tocco le tasche della giacca sempre piene di bacche, cortecce o rametti spinosi.
Proseguo sino alle prime baite, malandate certo, come vuole la migliore tradizione architettonica montanara, alcune risalgono al 1700 e sono tenaci come i vecchi sdentati, resistono al tempo che passa: potessi diventare parte di questo silenzio, lontano dalla presunzione e dal pregiudizio che ci inchioda a sentenze senza appello, lontano dalle spiegazioni e dalle chiacchere di cui siamo pieni per non ammettere che in fondo non abbiamo niente da dire, lontano dalle frustrazioni e dai frustratoi che ci siamo costruiti... Ma non mi piace scappare e allora vado avanti.
Di malanimo affronto l'ultima salita e ho fame; mi aspetta La Chardouse, un rifugio con il nome di un fiore timido, una baita antica, sapientemente restaurata e gestita da gente giovane e gentile e da un cane che oggi, ma solo oggi mi garantiscono, si è svegliato dal lato sbagliato della cuccia ed è un po' malmostoso.
Mangio di gusto e guardo la "carlina" appesa alla parete, la chardouse o carlina acaulis, una pianta perenne con un grande capolino che in previsione del maltempo chiude le brattee e tanti saluti! Si riapre solo quando il sole torna a splendere e il peggio è passato: per questa sua peculiarità è stata usata da generazioni di montanari come igrometro oltre che come amuleto contro gli spiriti della notte e i malefici delle streghe.
Si è fatto pomeriggio pieno e devo rientrare, lasciare il pacifico borgo antico e tornare, c'è un bel sole caldo che tramonta e la carlina è aperta, sorridente e fiduciosa in un tempo sereno. Sono più ottimista: sì che ce la faremo a salvare questo nostro tempo, arriveranno cose nuove e assieme ad esse arriverà anche il coraggio per ripensarle e cambiarle, ciascuno a proprio modo, io ho scelto di salvare e difendere la lana della Valle di Susa: almeno quindici milioni di tonnellate di lana, che ora riesco a immaginare.
